Federigo Tozzi

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Federigo Tozzi

Federigo Tozzi (Siena, 1º gennaio 1883Roma, 21 marzo 1920) è stato uno scrittore, poeta, drammaturgo e giornalista italiano. Per lungo tempo misconosciuto, è stato rivalutato solo molti anni dopo la sua scomparsa ed è ormai considerato uno dei più importanti narratori italiani del Novecento, oggetto di un'attenzione critica sempre crescente[1].

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Anni giovanili[modifica | modifica wikitesto]

Nacque a Siena il 1º gennaio 1883, da Annunziata Automi, di origini povere, figura gentile e mite, con una salute fragile perché affetta da epilessia, e da Federigo Tozzi, detto Ghigo. Il padre era un uomo molto abile negli affari, ma piuttosto rude: i suoi momenti di collera e il suo disprezzo verso la cultura provocarono molti traumi a Federigo, dotato di una forte sensibilità. Ghigo, di origini contadine, possedeva il "Ristoratore il Sasso" presso l'Arco dei Rossi[2], e due poderi nei dintorni di Siena. Il genitore non sopportava che Federigo perdesse tempo con la letteratura, piuttosto che aiutarlo nell'amministrazione della trattoria e dei campi.

La figura paterna ispirò parecchi personaggi delle prose dello scrittore, come ad esempio quel cinico Domenico Rosi, genitore di Pietro, protagonista del capolavoro Con gli occhi chiusi. Dopo la morte della madre nel 1895, il padre nel 1900 si risposò e Tozzi trasporrà la matrigna in Luigia, personaggio de Il podere.

La formazione scolastica[modifica | modifica wikitesto]

I contatti del ragazzo con la scuola si rivelarono subito difficili. Tozzi frequentò la scuola elementare in seminario e in seguito nel Collegio Arcivescovile di Provenzano, a Siena, dal quale fu allontanato per cattiva condotta nel 1895, anno in cui morì sua madre. Si iscrisse allora alla scuola delle Belle Arti, dove trascorse tre anni piuttosto burrascosi e ne fu espulso. Si iscrisse in seguito alle scuole tecniche e ne frequentò i corsi a Siena e a Firenze, ma con scarso profitto.[3]

Pur studiando in modo saltuario e molto disordinato, sviluppò un grande amore per la lettura, cominciando a frequentare la Biblioteca comunale di Siena, dove si formò una cultura aperta ai più diversi influssi, soprattutto a quelli della moderna psicologia. Nel 1902, essendo rimandato in alcune materie per l'ammissione alla terza classe, abbandonò per sempre gli studi regolari.[4]

Prime esperienze culturali e amorose[modifica | modifica wikitesto]

Nel 1901 si iscrisse al Partito Socialista degli Italiani e strinse amicizia con l'intellettuale Domenico Giuliotti. L'interesse politico si spense, nel 1904, in coincidenza della guarigione da una cecità dovuta ad una malattia venerea.

Nel 1902 lesse Varie forme della coscienza religiosa di William James, testo che influenzò considerevolmente la composizione di Tozzi in racconti come Paolo e Adele (pubblicato postumo a cura del figlio Glauco). Adele è una giovane donna isterica, che vive rapporti conflittuali con se stessa, con i propri genitori e con l’ambiente circostante.

Al 1902 risale l'inizio dell'intenso carteggio con una Annalena, Senhal, che Novale, raccolta di epistole pubblicata postuma come diario intimo dell'autore, ha poi dimostrato nascondere l'identità della futura moglie di Tozzi, Emma Palagi, conosciuta tramite una corrispondenza nata su un giornale.

Sempre in questi anni iniziò il suo rapporto con una contadina alle dipendenze di famiglia, Isola, la cui personalità verrà trasposta in Ghìsola di Con gli occhi chiusi.

Prime opere[modifica | modifica wikitesto]

Lapide nella casa di Siena, in Banchi di Sopra

L'opera di esordio di Tozzi fu in versi e si intitolò la Città della Vergine; in seguito divenne il curatore di alcune antologie di antichi scrittori senesi.

Volendosi allontanare da Siena, nel 1907 iniziò a lavorare nelle ferrovie, a Pontedera e a Firenze; in seguito a questa esperienza nacque un "diario", Ricordi di un giovane impiegato, poi pubblicato da Borgese con il titolo Ricordi di un impiegato.

Nel 1908 tornò a Siena a causa della morte del padre. Nello stesso anno sposò Emma Palagi e insieme a lei iniziò un'attività letteraria più intensa. Con il ritorno nel podere di famiglia a Castagneto, scrisse le novelle Bestie; tra il 1909 e il 1914 è datata la composizione di uno dei suoi romanzi più famosi, Con gli occhi chiusi, e de Il podere. Nel 1911 scrisse le liriche di La zampogna verde.

Nel 1913 fondò insieme al suo amico Domenico Giuliotti la rivista quindicinale La Torre, di carattere cattolico e nazionalista, coincidente con la sua conversione al cattolicesimo che contribuì al carattere religioso delle sue opere. Di fondamentale importanza nel suo percorso di fede fu la scoperta dei due santi più rappresentativi di Siena, Santa Caterina e San Bernardino.

Frequentando gli ambienti letterari senesi, conobbe la concittadina Vittoria Gazzei Barbetti, violinista e poi letterata, alla quale si ispirò per delineare la violinista Enrichetta Gastinelli nel racconto Dopo il concerto (in Novelle, 1913) [5].

Nel periodo in cui si trasferì a Roma con la moglie Emma e il figlio Glauco, Tozzi cominciò a collaborare a diversi giornali e a varie riviste letterarie, mentre l'Italia entrava in guerra.

La sua collaborazione intensa con quotidiani e riviste fece sì che la più rappresentativa produzione letteraria fosse costituita perlopiù da novelle, forma di scrittura che era tra i prodotti più richiesti e apprezzati dell'epoca e che trovava fra i sostenitori anche quel pubblico "frettoloso" che accoglieva favorevolmente questo formato per la brevità delle composizioni.[6][7]

Nel 1917 pubblicò Bestie, presso l'editore Treves, già editore di D'Annunzio. Nello stesso anno, a causa della guerra, Tozzi aveva deciso di lavorare presso l'ufficio stampa della Croce Rossa, dove rimase poi per parecchi anni. Conobbe in questo ufficio Marino Moretti e da lui venne presentato all'editore Treves.

Nel 1918, per volere di Luigi Pirandello, che da maggio era alla guida del supplemento letterario settimanale del Messaggero, Tozzi lavorò assieme a Pier Maria Rosso di San Secondo nella redazione del Messaggero della domenica. La realizzazione di tale progetto editoriale rappresentò il momento culminante dell'incontro tra due dei maggiori narratori del primo Novecento.

Maturità[modifica | modifica wikitesto]

Roma, via del Gesù 62: memoria della residenza romana di Federigo Tozzi

Fu questo il periodo in cui riuscì ad affermarsi e ad entrare in contatto con i maggiori scrittori e intellettuali dell'epoca (da Panzini a Pirandello a Borgese)[8]; nonostante questo, la sua vita non era affatto facile. Pirandello e Borgese furono coloro che maggiormente credettero in lui.

Per il Messaggero della domenica Tozzi compose alcune delle sue novelle migliori, come La casa venduta, che apparve sul numero del 20 giugno 1918, a cui ne seguirono altre (Creature vili, Il crocifisso, Mia madre e I nemici); produsse inoltre una prosa lirica (Le fonti) e oltre una quarantina di articoli saggistici, talvolta anonimi o sotto la firma Lector, lo pseudonimo usato dallo scrittore già sulle colonne dell'Idea Nazionale.

Nel 1919, Tozzi pubblicò Con gli occhi chiusi, che fu messo in ombra l'anno successivo da Tre croci che Borgese giudicò un capolavoro del realismo[9]. Sempre nel 1920 venne pubblicato anche il romanzo autobiografico Gli egoisti, imperniato sull'ambiente letterario romano.

Oltre ai romanzi, Tozzi scrisse circa 120 racconti, 21 dei quali furono raccolti in un volume dal titolo Giovani (1920).

Morte[modifica | modifica wikitesto]

Il 21 marzo 1920, lo scrittore morì, colpito dall'influenza spagnola che gli causò una violenta forma di polmonite. È sepolto nel Cimitero del Laterino a Siena.

La riscoperta da parte della critica[modifica | modifica wikitesto]

Tozzi lasciò le sue opere per lo più inedite oppure disperse tra giornali e riviste: spettò al figlio Glauco il riordinamento del materiale che fu, in parte, pubblicato postumo: Il podere vide la luce nel 1921, Gli egoisti nel 1923 e Ricordi di un impiegato nel 1927.

Lo scrittore senese fu riscoperto dal grande pubblico molto tardi, negli anni sessanta, probabilmente a causa dell'errata interpretazione delle sue opere, fino ad allora genericamente ricondotte nell'ambito del verismo. Solo la recente critica ha capovolto la visione di un Tozzi realista proponendolo come scrittore di stampo profondamente psicologico e vicino al simbolismo, paragonandolo a livello europeo alla prosa di Kafka e Dostoevskij. Fondamentali per la comprensione dell'opera di Tozzi sono risultati i contributi critici di due autorevoli studiosi, Giacomo Debenedetti e Luigi Baldacci.[10][11]

Tematiche[modifica | modifica wikitesto]

Tomba di Federigo Tozzi, insieme alla moglie, al cimitero del Laterino di Siena, prima del restauro

Psicoanalisi[modifica | modifica wikitesto]

L'opera di Tozzi, valutata nel suo complesso, segna una tappa importante nella storia della narrativa italiana del Novecento perché, proponendo una forma di romanzo tutta ripiegata sull'interiorità umana, si colloca fra la dissoluzione del naturalismo ottocentesco e le nuove dimensioni poetiche e psicoanalitiche (dal simbolismo al recupero memoriale di Proust).[12]

Tozzi tuttavia non conosce Freud, giunge a conclusioni analoghe perché è uno scrittore "primitivo" che ha antenne per captare fenomeni culturali più ampi, è dotato di una grande potenza intuitiva. Senza molti strumenti si proietta in altre realtà. Tozzi si interessa molto di psicologia, ma non fa psicoanalisi; la realtà gli si impone con la violenza massiccia dell'incubo dell'esperienza personale per poi essere ritrasportata, sempre sotto forma di incubo, nelle sue opere, in cui si riscontrano sia il complesso di Edipo, sia il complesso di Prometeo, in riferimento alle due figure genitoriali.[13]

Inettitudine[modifica | modifica wikitesto]

Tozzi viene recuperato dalla critica a partire dagli anni sessanta (precedentemente era considerato un narratore verista-regionalista), periodo in cui inizia a essere messa in luce la sua vena lirica. Tozzi, infatti, utilizza le forme tradizionali del realismo per esprimere una sua particolare visione della realtà che ruota intorno all'inettitudine come inadeguatezza dell'individuo a reggere nuove richieste che la vita gli fa. I personaggi tozziani sono "incapaci di…".[14] Nei romanzi di Tozzi si trova una sorta di rappresentazione lirica dello sbandamento dell'uomo di fronte alle cose. In questo, Tozzi è assimilabile a Joyce (Ulisse), Musil (L'uomo senza qualità), Kafka (Il processo), Svevo (La coscienza di Zeno, Una vita) e Thomas Mann[15]. Tozzi si inserisce in questa scia calando in questa prospettiva l'ambito in cui vive, ovvero Siena.

Siena[modifica | modifica wikitesto]

Lo stato d'animo come chiave di lettura della città di Siena, e quindi anche delle descrizioni di città può essere un criterio per una lettura dei più famosi romanzi di Federigo Tozzi.[16]

Piuttosto apprezzato dai contemporanei, tra i quali Pirandello, soprattutto per il suo interesse ai particolari psicologici e per la sua visione "da dentro" delle vicende, fu però anche criticato per autobiografismo ed "eccessi psicologici".[17]

Dopo la sua morte, una parte delle critica, in particolare Borgese e Russo, pose l'accento principalmente sul confronto del modello verista o addirittura regionalista, tralasciando alcune peculiarità di Tozzi, come la capacità di rappresentare le vicende psichiche che portano i suoi personaggi all'inettitudine; mentre gli intellettuali di Solaria cercarono di recuperarne la prospettiva europea, riconoscendo nelle tematiche da lui sviluppate collegamenti con grandi scrittori come Kafka, Müsil, Joyce, Mann, Svevo, Proust.

La critica moderna mette oggi in risalto altri aspetti di Tozzi, come l'espressionismo, la rappresentazione allucinata della realtà, le "patologie psicologiche" dei personaggi (grazie all'intervento di Giacomo Debenedetti con Il personaggio uomo), la centralità dell'io e il "realismo-simbolico".[17]

Tozzi infatti utilizza le forme tradizionali del realismo per esprimere una sua particolare visione della realtà (in particolare circa il problema dell'inadeguatezza, della difficoltà di vivere, della piccolezza) calando in questa prospettiva l'ambito in cui vive, cioè Siena (Roma ne Gli Egoisti).

L'opera tozziana, come fa notare Pasquale Voza (1985)[18], è un'incessante interazione tra spunti regionali e significati universali (espressioni dello stesso Tozzi), dove il microcosmo si dilata fino ad inglobare il macrocosmo.

Anche l'aspetto autobiografico, talvolta messo al centro della produzione di questo autore, passa in secondo piano pur non perdendo di importanza: è solamente un'altra metafora per porre con forza e angoscia l'idea della difficoltà della vita.

Molto evidente, infatti, è l'analogia fisico-psichica tra l'inettitudine, il torpore dell'anima di molti dei personaggi dei romanzi di Tozzi (primo fra tutti Pietro, il protagonista di Con gli occhi chiusi) e la descrizione di alcuni scorci di Siena, raffigurata spesso come tutta raccolta in sé e inaccostabile. La realtà provinciale in cui si muovono i personaggi fa da sfondo al loro destino di solitudine e cecità.

«Stava a giornate intere, solo, in casa; guardando, con la faccia sui vetri, il sottile rettangolo di azzurro tra i tetti. Quell'azzurro sciocco, così lontano, gli metteva quasi collera; [...]E allora sentiva il vuoto di quella solitudine rinchiusa in uno dei più antichi palazzi di Siena, tutto disabitato, con la torre mozza sopra il tetro Arco dei Rossi; in mezzo alle case oscure e deserte, l'una stretta all'altra; con stemmi scolpiti che nessuno conosce più, di famiglie scomparse.»

E anche quando la città offre i suoi lati migliori, più aperti e più belli, questi servono solamente da sfondo di contrasto con la psicologia di tali personaggi, acuendo addirittura il loro senso di smarrimento di fronte alla vita.

«Andava verso la città sovra la quale si raccoglieva una dolcezza d'azzurro, tra le colline l'una più soave dell'altra. Quella bellezza meravigliosa l'umiliava»

Il rapporto tra Tozzi e la sua città natale è sempre stato ambivalente, potrebbe assomigliare allo struggimento di un innamorato tradito.[21] Tozzi ha amato Siena nei suoi vicoli storti e nei suoi baratri scoscesi, nelle sue piazze ariose e nelle torri slanciate, ma da Siena ha sempre cercato di fuggire, sia per le poche opportunità che offriva allora sia per evadere da ciò che Siena rappresenta nel suo immaginario, cioè l'immobilità, la tradizione, l'abitudine.[21]

Siena come habitus, come una droga, un narkoticon che spegne ogni iniziativa inebriando i suoi abitanti di se stessa e della sua indubitabile bellezza.[22]

«La mia anima, per aver dovuto vivere a Siena, sarà triste per sempre: piange, pure che io abbia dimenticato le piazze dove il sole è peggio dell'acqua dentro un pozzo, e dove ci si tormenta fino alla disperazione.
Ma i miei brividi al tremolio bianco degli olivi! E quando io stavo fermo, anche più di un'ora, senza saper perché, allo svolto di una strada, e la gente mi passava accanto e mi pareva di non vederla né meno!
Città, dove la mia anima chiedeva l'elemosina, ma non alla gente! Città, il cui azzurro mi pareva sangue!»

Una droga da cui Tozzi non riuscirà mai a liberarsi, neanche a contatto con le grandi città come Firenze e soprattutto Roma, nelle quali vedrà sempre, come allucinazioni, riflessi della sua Siena. Questo rapporto conflittuale caratterizza anche i comportamenti di molti dei personaggi di Tozzi[22]: per questo le sue scenografie non sono solo «ad alto coefficiente pittorico», piuttosto tendono a realizzare «un progetto speculativo diretto ad interpretare il destino dei suoi personaggi» (Jeuland-Meynaud, 1991).

«Il vento frusciava nei giardini e negli orti a piedi delle case, dentro la cinta delle mura di Siena. Si sentiva chiudere qualche persiana sbattendo; e c'era un piccolo eco affilato e rauco che ripeteva pazientemente in fondo agli orti quel rumore; come se andasse ad appiattirsi laggiù; dove gli archi della fonte di Follonica s'interrano fino a mezzo; impiastricciati di muschi che si sfanno con il tartaro dell'acquiccia. L'erta delle case, silenziose, morte, non sentiva le foglie di un gran tiglio, sotto la finestra della camera, staccarsi l'una dopo l'altra, senza che potessero smettere più.»

Le "cose" descritte non sono mai statiche e prive di vita, anzi, partecipano attivamente alle azioni, diventandone parte integrante in quanto «gli elementi della realtà sono compartecipi del vivere umano, in un sodalizio intimo che li definisce attori a pieno titolo dell'evento». (Jeuland-Meynaud, 1991)

In Con gli occhi chiusi, però, Pietro alla vista della prossima maternità di Ghisola fugge dal mondo che la sua immaginazione si era andato creando, riuscendo a interporre una distanza tra la realtà e la visione quasi onirica; mentre i fratelli Giambi, protagonisti di "Tre Croci", vedono in tutto ciò che li circonda solo inganno, lussuria, gola, sovrapponendo così in modo definitivo i due campi e perdendo la loro identità. Ai tre protagonisti, emblemi di un'umanità peccatrice, del sottosuolo e refrattaria a ogni conversione, fa da contraltare la figura positiva di Modesta che cerca insistentemente di far riavvicinare il cognato Enrico alla chiesa:

«Perché, almeno, non ti converti a Dio? Anche il povero Niccolò è morto senza potersi confessare; e Giulio s’è ucciso. Forse, stanno male tutti e due; ora. Bisogna pensare alle loro anime. [...] Vai a farti aiutare dai canonici del Duomo.»

In tutta l'opera di Tozzi, ma soprattutto in quest'ultimo romanzo, sembra esistere soltanto il mondo interiore del personaggio: tutto ciò che ne è al di fuori è solamente la dilatazione dell'interiorità dell'attore. L'uomo e le sue emozioni diventano la misura e la dimensione del mondo, come in Malraux, Sartre, Camus, Durrell e altri. Si assiste, nell'opera tozziana, a un'esaltazione dell'individualità che andrebbe altresì riletta alla luce della conversione al cattolicesimo da parte dell'autore. A un'interpretazione esclusivamente nelle coordinate della psicoanalisi fanno da contraltare e risultano chiarificatrici le parole dell'autore stesso:

«L’uomo che cerca Dio esalta la propria individualità; perché cercare Dio significa spingere l’anima fin dove le è concesso di arrivare […]; la nostra religione, così trascurata e sbassata da tutti i trattati di psicologia, è il motivo spontaneo della nostra anima.»

Questo processo empatico si può facilmente notare anche in Bestie, se "il libro non viene letto come frammenti di storie possibili ancora allo stadio embrionale, ma come l'unica possibile vicenda di un io frantumato e diviso nei suoi innumerevoli e rapidissimi stati d'animo". (Dedola, 1990)
Per Bestie l'analogia fisico-psichica si allarga: non più solo uno scenario cittadino come secondo termine di paragone, ma ogni elemento che, allo stesso tempo, può essere segno e simbolo di un'emozione.

«Ecco la sera, quando le cose della stanza diventano pugnali che affondano nella mia anima; maniche che mi attendono.
Qualche altra volta mi erano sembrate - libri, tavoli, sedie, tagliacarte, cuscini, lampade, pareti - poemi immensi.
Mai, in nessun modo, sono riuscito ad essere indipendente dinanzi a loro.»

La percezione diventa più importante dell'oggetto percepito, il personaggio è colui che filtra le cose attraverso i suoi stati d'animo. Spesso le descrizioni sono allucinate perché la scissione sta proprio nel personaggio stesso che non riesce a distinguere la dimensione interna da quella esterna. Proprio questa "disgregazione psichica" porta i personaggi tozziani all'inettitudine e all'incapacità di agire.

La narrativa moderna[modifica | modifica wikitesto]

Secondo alcuni critici le opere di Federigo Tozzi potrebbero esigere una certa maturità di lettura dato che la sua prosa può talvolta rivelarsi ostica, scostante; Tozzi infatti non ha l’obiettivo di incantare il lettore. Un ostacolo è determinato dallo sfondo di profonda tristezza del mondo che descrive. Tozzi richiede dunque una partecipazione del lettore nel superamento di questa barriera che permette di entrare a pieno nella sua poetica; egli mette di fronte il lettore, in prima persona, attraverso gli occhi dei contadini, a esperienze di vita dei campi; Con gli occhi chiusi viene considerato uno dei romanzi maggiormente espressivi del primo dopoguerra.

Con gli occhi chiusi[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Con gli occhi chiusi (romanzo).

Federigo Tozzi iniziò il romanzo nel 1909, lavorandoci a più riprese, riuscendo finalmente a farlo stampare solo nel 1919 presso l'editore Treves. È il più vicino al frammentismo vociano. Esso narra la storia di Pietro Rosi, un giovane debole e introverso; il padre è il proprietario di una trattoria e di un podere e lo disprezza, considerandolo un inetto. Pietro ha una contrastata relazione con Ghisola, una povera contadina che vive presso gli zii, salariati del padre. L'amore di Pietro per Ghisola non decolla e, dopo alterne vicende, i suoi sentimenti per lei svaniranno.

Il romanzo ha una struttura narrativa spesso definita "imperfetta". A volte infatti sembra smarrire il filo logico tra distrazioni e digressioni; non c'è più una gerarchia di momenti privilegiati o secondari. I personaggi sono studiati attraverso la psiche: non hanno spina dorsale, né scheletro o impalcatura; tra loro manca solidarietà. I personaggi principali risultano addirittura sfocati. L'andamento della vicenda procede per salti e scarti repentini, seguendo, come nei romanzi di Svevo, ciò che detta la coscienza.

La trama sembrerebbe rivelare una profonda concezione pessimistica della vita: tra i personaggi regna l'incomunicabilità e, in tutto il romanzo, è forte la presenza del male.

In realtà, in una prospettiva religiosa e non psicanalitica, devono essere ricondotti tutti i grandi temi del romanzo: l'incomunicabilità degli individui, che rende infernale la condizione umana, il mistero di ogni atto. D'altra parte lo stesso titolo Con gli occhi chiusi deriverebbe da un passo del De imitatione Christi: "Beati gli occhi che sono chiusi alle cose esteriori"[23], per cui essi si aprono soltanto dinanzi alla visione delle cose più profonde. Piuttosto che come segno di inettitudine, avere gli occhi chiusi andrebbe interpretato come capacità di aprirsi ad una dimensione altra e conoscibile appieno esclusivamente attraverso il cuore.

Il cattedratico Nicola Francesco Cimmino ha scritto[24]:

«[...] l'afflato lirico rappresenta l'essenza stessa del libro; non soltanto un gioco architettonico nell'armonia della pagina, bensì anche la rivelazione di una realtà superiore e profonda da cui l'uomo può adire.»

Con gli occhi chiusi ottenne, come tutte le opere di Tozzi, un riconoscimento critico piuttosto limitato, benché gli scrittori di Solaria e Campo di Marte avessero segnalato il romanzo. Insieme a Tre croci, il romanzo fu apprezzato per la modernità degli approfondimenti psicologici. L'affermazione dell'opera avvenne solo negli anni Sessanta, quando ebbe una maggiore diffusione.

Tre croci[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Tre croci (romanzo).

Il romanzo fu apprezzato più dal pubblico che dalla critica e mise in ombra Con gli occhi chiusi. La critica, invece, considera Tre croci meno poetico del precedente, ma più epico perciò più attraente per i lettori. Come dice Carlo Cassola[25]:

«Sono soprattutto due i romanzi importanti di Federigo Tozzi: Con gli occhi chiusi e Tre Croci. I letterati preferiscono il primo; la gente comune il secondo. Il primo romanzo non diventerà mai popolare; il secondo lo diventerà, quanto meno ha i numeri per diventarlo.
La gente comune ama i romanzi, e Tre Croci è più romanzo di Con gli occhi chiusi. Con gli occhi chiusi è più poetico, ma meno epico dell'altro.
A questo punto mi accorgo che è necessaria una spiegazione generalissima: in che consiste la differenza tra le due fondamentali espressioni letterarie, la lirica e l'epica? Uso apposta la parola epica, benché ai nostri tempi la sola forma dell'epica sia la narrativa, perché nessuno possa cavarsela dicendo che la prima è in versi e la seconda in prosa.
Certo che il romanzo è in prosa; ma il poema epico, che lo ha preceduto nel tempo, assolvendo la stessa funzione? La Commedia, tanto per fare un solo esempio, è in versi, eppure non ha niente a che vedere col Canzoniere del Petrarca, e con la stessa poesia amorosa di Dante. Quest'ultima appartiene al genere lirico, mentre la Commedia all'epico.
Allora, qual è la differenza? Che il poeta lirico parla di sé, mentre il poeta epico parla degli altri. Bisogna però che questi altri non siano proiezioni dell'autore, come accadde per parecchio tempo allo stesso Tozzi.»

Il podere[modifica | modifica wikitesto]

In questo romanzo Tozzi cerca di recuperare, pur senza rinnegare le sue precedenti innovazioni, uno stile e una forma più tradizionali. Descrive un mondo di ansia, angoscia e paura determinato dall'impatto con la realtà che è minacciosa, incombente, aggressiva. È un mondo fatto di traumi, ferite sempre aperte, lesioni profonde della personalità. I personaggi non ne hanno la cognizione, ma ne vengono influenzati e si comportano illogicamente a causa di questi impulsi inconsci.

Il protagonista è Remigio che, alla morte del padre, riceve in eredità un podere, contesogli sia dalla matrigna che dalla vecchia amante del padre. È essenzialmente la storia di un inetto che subisce la crudeltà umana: Remigio infatti respinge il modello propostogli dal padre ma non sa trovare una valida alternativa, per cui non riesce a essere un buon padrone, né sa comandare e farsi rispettare dai suoi sottoposti. Tutti sono contro di lui perché, secondo la loro ottica, chi non sa amministrare è un pericolo sociale e come tale deve essere allontanato il più presto possibile. Alla fine, uno di loro, Berto, che lo odia apparentemente senza ragione, lo uccide.

Bestie[modifica | modifica wikitesto]

Si tratta di una raccolta di 69 frammenti, o aforismi, che hanno una solo denominatore comune: in ognuno di questi brevi racconti compare, in maniera anche casuale e marginale, un animale. Per capire il senso globale dell'opera, occorre tenere presenti l'aforisma iniziale e quello finale, che definiscono quelli intermedi. Questi due frammenti sono infatti caratterizzati dalla presenza dell'unico animale che, all'interno della raccolta, sembra essere stato investito di un valore simbolico: l'allodola, che rappresenterebbe un bisogno di elevazione, di senso, di accordo con la natura. Nel primo frammento viene descritta la difficoltà dell'allodola a vivere in un mondo dominato dall'uomo; nell'ultimo è presente un appello all'animale perché ritorni nell'anima. Gli aforismi intermedi, privi dell'allodola, diventano delle allegorie vuote, che sottolineano il bisogno di significato e l'impossibilità di ottenerlo. Bestie è quindi un'opera che esprime la frammentarietà e l'assurdità della vita.[26]

Giovani[modifica | modifica wikitesto]

Approntata dall'autore stesso, ma uscita postuma nel 1920 presso Treves a pochi mesi dalla sua morte, la raccolta comprende ventuno testi, alcuni dei quali già apparsi su periodici. I protagonisti delle novelle non sono necessariamente "giovani" di età, come il titolo sembra suggerire, ma sono accommunati da un'inspiegabile inettitudine nei rapporti sociali, che li rende vittime delle asprezze della vita.[27]

Opere[modifica | modifica wikitesto]

Testi poetici[modifica | modifica wikitesto]

  • La zampogna verde, Ancona, Puccini e figli, 1911.
  • La città della Vergine. Poema, Genova, Formiggini, 1913.

Antologie[modifica | modifica wikitesto]

  • Antologia d'antichi scrittori senesi. (Dalle origini fino a santa Caterina), Siena, Giuntini e Bentivoglio, 1913.

Romanzi[modifica | modifica wikitesto]

  • Bestie, Milano, Treves, 1917. (raccolta di prose)
  • Gli egoisti. Romanzo, Roma-Milano, A. Mondadori, 1924. (ultimo romanzo)
  • Ricordi di un impiegato. Opera postuma, Roma, La rivista letteraria, 1920; Milano, A. Mondadori, 1927.
  • Trilogia di romanzi sull’inettitudine
  1. Con gli occhi chiusi. Romanzo, Milano, Treves, 1919.
  2. Tre croci. Romanzo, Milano, Treves, 1920.
  3. Il podere. Romanzo, Milano, Treves, 1921. (postumo)

Novelle[modifica | modifica wikitesto]

  • Mascherate e strambotti della congrega dei rozzi di Siena, a cura e con prefazione di, Siena, Giuntini e Bentivoglio, 1915.
  • L'amore. Novelle, Milano, Vitagliano, 1919.
  • Giovani. Novelle, Milano, Treves, 1920.

Drammi[modifica | modifica wikitesto]

  • La famiglia
  • La verità
  • Gente da poco
  • L’eredità
  • L'incalco. Dramma in tre atti, Roma-Milano, A. Mondadori, 1924.

Lettere[modifica | modifica wikitesto]

  • Novale. Diario, Milano, A. Mondadori, 1925.

Saggi[modifica | modifica wikitesto]

  • Realtà di ieri e di oggi, Milano, Alpes, 1928.

Pubblicazioni postume[modifica | modifica wikitesto]

  • Opere complete di Federigo Tozzi
I, Tre croci; Giovani, Firenze, Vallecchi, 1943.
II, Il podere; L'amore, Firenze, Vallecchi, 1943.
III, Con gli occhi chiusi; Bestie; Gli egoisti, Firenze, Vallecchi, 1950.
  • Nuovi racconti, Firenze, Vallecchi, 1960.
  • Opere, Firenze, Vallecchi, 1961-1988.
I, I romanzi, Firenze, Vallecchi, 1961.
II, Le novelle, 2 tomi, Firenze, Vallecchi, 1963.
III, Il teatro, Firenze, Vallecchi, 1970.
IV, Cose e persone. Inediti e altre prose, Firenze, Vallecchi, 1981.
V, Le poesie, Firenze, Vallecchi, 1981.
VI, Novale, Firenze, Vallecchi, 1984.
VII, Carteggio con Domenico Giuliotti, Firenze, Vallecchi, 1988.
  • Adele. Frammenti di un romanzo, curato dal figlio dell’autore, Glauco Tozzi, Firenze, Vallecchi, 1979.
  • Opere. Romanzi, prose, novelle, saggi, Milano, A. Mondadori, 1987. ISBN 88-04-22666-8.
  • Barche capovolte, Firenze, Vallecchi, 1993.
  • Fonti, prefazione di Antonio Prete, Roma, Edizioni degli animali, 2017
  • Specchi d'acqua, Rimini, Raffaelli, 2020.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Marco Archetti, Finalmente possiamo rimediare all’errore di avere dimenticato Federigo Tozzi, in Il Foglio, 3 febbraio 2019. URL consultato il 5 maggio 2019.
  2. ^ in Introduzione, Federigo Tozzi, Con gli occhi chiusi, Istituto Geografico De Agostini, 1981
  3. ^ Nuova pagina 1, su www.novecentoletterario.it. URL consultato il 5 marzo 2023 (archiviato dall'url originale l'11 aprile 2010).
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Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

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